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L’importanza di uno screening al cuore per il PFO in chi pratica immersioni subacquee

A cura di:
Coordinatore nazionale della Cardiochirurgia di GVM Care & Research. Cardiochirurgo Specializzato nel trattamento Cardiochirurgico Mininvasivo e Nanoinvasivo della valvola mitrale.
L’importanza di uno screening al cuore per il PFO in chi pratica immersioni subacquee

Esiste una anomalia congenita del cuore- conosciuta con il nome di Forame Ovale Pervio o ancora meglio con la sigla PFO -  in cui la parte destra del muscolo cardiaco comunica con quella sinistra tramite una comunicazione a livello del setto interatriale. E’ presente in una percentuale che, secondo le alcune stime, può arrivare al 40% della popolazione: in condizioni normali tale “difetto” non comporta sintomi né disturbi particolari, ma non mancano i casi in cui il PFO può contribuire alla comparsa di eventi altamente pericolosi come l'ictus cerebrale o l’embolia polmonare.

I rischi sembrano aumentare soprattutto in chi pratica immersioni subacquee; i subacquei possono infatti andare incontro a gravi forme di malattia di decompressione anche se le immersioni vengono eseguite nel rispetto di tutte le norme di sicurezza (‘embolie immeritate’). Un altro sintomo che frequentemente si associa a PFO e colpisce i subacquei e la cosiddetta cefalea post-immersione. Considerando che in estate accade più di frequente di fare immersioni, questo potrebbe essere il periodo giusto per fare uno screening al cuore con indagini diagnostiche affidabili e sicure e mettersi al riparo da tali rischi.

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Ma facciamo un passo indietro e vediamo cosa accade al cuore in presenza di PFO. In realtà questa condizione è propria dell’età fetale: la presenza di questa apertura consente al sangue di non passare dai polmoni, che durante la vita nel grembo materno sono ancora inattivi. L'ossigeno necessario agli organi e ai tessuti proviene direttamente dalla madre, che fa respirare il piccolo attraverso la placenta e i vasi sanguigni del cordone ombelicale. Al momento della nascita il piccolo “buco” dovrebbe chiudersi grazie alla presenza di una membrana, il septum primum, in genere si salda alla parete del cuore entro il primo anno di vita. Nel 60% della popolazione la chiusura è permanente, mentre in circa il 30% rimane un’ apertura - piccola o grande a seconda dei casi - che permette il passaggio di sangue solo da destra verso sinistra quando la pressione dell’atrio destro diventa maggiore di quella dell’atrio sinistro. 


Tale  alterazione può in qualche modo, aumentare il rischio di patologia da decompressione nelle immersioni. In alcuni studi è infatti riscontrata una incidenza di oltre il 60% di PFO in sub che avevano avuto incidenti con danni cerebrali. Durante o dopo un’immersione – sia agonistica che amatoriale - micro bolle di gas che circolano nel sangue venoso arrivano ai polmoni, causando un aumento di pressione al ventricolo destro del cuore. Come conseguenza, la pressione nell’atrio destro aumenta e questo permette il passaggio di bolle dalla circolazione venosa a quella arteriosa che può determinare ictus o embolie ai polmoni.

Tuttavia il dibattito sulla problematica è aperto. Mentre la comunità scientifica si interroga ancora sul possibile nesso tra PFO e malattie da decompressione, è aumentato il livello di attenzione su questa anomalia e consiglio a chi fa immersioni di eseguire uno screening al cuore che può cominciare con una semplice ecocardiografia e, in caso di sospetto, proseguire con un ecocardiogramma transesofageo e/o un eco doppler transcranico per escludere la presenza di forame ovale pervio.

Per quanto riguarda la terapia, esistono casi in cui è necessaria la chiusura del forame ovale pervio. Oggi – in centri specializzati nella cura delle patologie cardiache – c’è la possibilità di impiegare dispositivi artificiali per via percutanea evitando l'intervento chirurgico. La decisione di correggere o meno l'anomalia spetta a noi specialisti che andiamo a valutare il quadro clinico globale tenendo presenti più fattori.
 

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